CLASSICI DEL MOVIMENTO COMUNISTA

Indice degli scritti di A. Gramsci


La situazione interna del nostro Partito ed i compiti del prossimo congresso (1)

(l'UnitĂ  3 luglio 1925, anno 2 n. 152)

 

Nella sua ultima riunione, (2) l'Esecutivo allargato dell'Internazionale comunista non aveva da risolvere nessuna questione di principio o di tattica sorta fra l'insieme del Partito italiano e l'Internazionale. Un tal fatto si verifica per la prima volta nella successione delle riunioni dell'Internazionale. Perciò i compagni più autorevoli dell'Esecutivo dell'Internazionale comunista avrebbero preferito che non si parlasse neppure di una commissione italiana: dato che non esisteva una crisi generale del partito italiano, non esisteva neppure una "questione italiana".

In realtà occorre subito dire che il nostro partito, pur avendo già prima del congresso, ma specialmente dopo, modificato i suoi atteggiamenti tattici per accostarsi alla linea leninista dell'Internazionale comunista, non ha tuttavia subito nessuna crisi nelle file dei suoi soci e di fronte alle masse: tutt'altro. Avendo saputo porre i suoi nuovi atteggiamenti tattici in relazione alla situazione generale del paese creatasi dopo le elezioni del 6 aprile e specialmente dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, il partito è riuscito ad ingrandirsi come organizzazione e a estendere in mode notevolissimo la sua influenza tra le masse operale e contadine. Il nostro partito è uno dei pochi, se non forse il solo partito dell'Internazionale, che può affermare un successo simile in una situazione così difficile come quella che si è venuta creando in tutti i paesi, specialmente europei, in rapporto alla relativa stabilizzazione del capitalismo ed al relativo rafforzarsi dei governi borghesi e della socialdemocrazia, che del sistema borghese è diventata una parte sempre più essenziale. Occorre dire, almeno tra parentesi, che è appunto per il costituirsi di una tale situazione ed in rapporto alle conseguenze che essa ha avuto non solo in mezzo alle grandi masse lavoratrici, ma anche nel seno dei partiti comunisti, che si deve affrontare il problema della bolscevizzazione.

 

La fase attuale dei partiti dell'Internazionale.

Le crisi attraversate da tutti i partiti dell'Internazionale dal 1921 ad oggi, cioè dall'inizio del periodo caratterizzato da un rallentamento del ritmo rivoluzionario, hanno mostrato come la composizione generale dei partiti non fosse molto solida ideologicamente. I partiti stessi oscillavano con spostamenti spesso fortissimi dalla destra all'estrema sinistra con ripercussioni gravissime su tutta l'organizzazione e con crisi generali nei collegamenti tra i partiti e le masse. La fase attuale attraversata dai partiti dell'Internazionale è caratterizzata invece dal fatto che in ognuno di essi si è andato formando attraverso le esperienze politiche di questi ultimi anni e si è consolidato un nucleo fondamentale il quale determina una stabilizzazione leninista della composizione ideologica dei partiti e assicura che essi non saranno più attraversati da crisi e da oscillazioni troppo profonde e troppo larghe. Ponendo cosi il problema generale della bolscevizzazione sia nel dominio della organizzazione che in quello della formazione ideologica, l'Esecutivo allargato ha affermato che le nostre forze internazionali sono giunte al punto risolutivo della crisi. In questo senso, l'Esecutivo allargato è un punto di arrivo e la constatazione dei grandissimi progressi compiuti nel consolidamento delle basi organizzative e ideologiche dei partiti è un punto di partenza, in quanto tali progressi devono essere coordinati, sistematizzati, devono cioè diventare coscienza diffusa operante di tutta la massa.

Per alcuni aspetti, i. partiti rivoluzionari dell'Europa occidentale si trovano solo oggi nelle condizioni in cui i bolscevichi russi si erano trovati già fin dalla formazione del loro partito. In Russia, non esistevano prima della guerra le grandi organizzazioni dei lavoratori che invece hanno caratterizzato tutto il periodo europeo della II Internazionale prima della guerra. In Russia, il partito, non solo come affermazione teorica generale, ma anche come necessità pratica di organizzazione e di lotta, riassumeva in sé tutti gli interessi vitali della classe operaia; la cellula di fabbrica e di strada guidava la massa sia nella lotta per le rivendicazioni sindacali come nella lotta politica per il rovesciamento dello zarismo. Nell'Europa occidentale invece si venne sempre più costituendo una divisione del lavoro tra organizzazione sindacale e organizzazione politica della classe operaia. Nel campo sindacale andò sviluppandosi con ritmo sempre più accelerato la tendenza riformista e pacifista; cioè andò sempre più intensificandosi la influenza della borghesia sul proletariato. Per la stessa ragione nei partiti politici l'attività si spostò sempre più verso il campo parlamentare, verso cioè forme che non si distinguevano per nulla da quelle della democrazia borghese. Nel periodo della guerra e in quello del dopoguerra immediatamente precedente alla costituzione della Internazionale comunista ed alle scissioni nel campo socialista, che portarono alla formazione dei nostri partiti, la tendenza sindacalista-riformista andò consolidandosi come organizzazione dirigente dei sindacati. Si è venuta cosi a determinare una situazione generale che appunto pone anche i partiti comunisti dell'Europa occidentale nelle condizioni in cui si trovava il Partito bolscevico in Russia prima della guerra.

Osserviamo ciò che avviene in Italia. Attraverso l'azione repressiva del fascismo, i sindacati erano venuti a perdere, nel nostro paese, ogni efficienza sia numerica che combattiva. Approfittando di questa situazione, i riformisti si impadronirono completamente del loro meccanismo centrale, escogitando tutte le misure e le disposizioni che possono impedire a una minoranza di formarsi, di organizzarsi, di svilupparsi e diventare maggioranza fino a conquistare il centro dirigente. Ma la grande massa vuole, ed a ragione, l'unità e riflette questo sentimento unitario nella organizzazione sindacale tradizionale italiana: la Confederazione generale del lavoro. La massa vuole lottare e vuole organizzarsi, ma vuole lottare con la Confederazione generale del lavoro e vuole organizzarsi nella Confederazione generale del lavoro. I riformisti si oppongono all'organizzazione delle masse. Ricordate il discorso di D'Aragona nel recente congresso confederale in cui affermò che non più di un milione di organizzati deve costituire la Confederazione. Se si delle conto che la Confederazione stessa sostiene di essere l'organismo unitario di tutti i lavoratori italiani, cioè non solo degli operai industriali ed agricoli ma anche dei contadini, e che in Italia ci sono almeno quindici milioni di lavoratori organizzati, appare che la Confederazione vuole, per programma, organizzare un quindicesimo, cioè il 7,50 per cento, dei lavoratori italiani, mentre noi vorremmo che nei sindacati e nelle organizzazioni contadine fossero organizzati il cento per cento dei lavoratori. Ma se la Confederazione vuole per ragioni di politica interna confederale, cioè per mantenere la dirigenza confederale nelle mani dei riformisti, che solo il 7,50 per cento dei lavoratori italiani siano organizzati, essa vuole anche - per ragioni di politica generale, cioè perché il partito riformista possa collaborare efficacemente in un governo democratico borghese - che la Confederazione, nel suo complesso, abbia un'influenza sulla massa disorganizzata degli operai industriali ed agricoli e vuole, impedendo l'organizzazione dei contadini, che i partiti democratici con i quali intende collaborare mantengano la loro base sociale. Essa allora manovra nel campo specialmente delle commissioni interne che sono elette da tutta la massa degli organizzati e dei disorganizzati.

Essa, cioè, vorrebbe impedire che gli operai organizzati, all'infuori di quelli della tendenza riformista, presentassero liste di candidati per le commissioni interne, vorrebbe che i comunisti, anche dove sono in maggioranza nell'organizzazione sindacale locale e tra gli organizzati delle singole officine, votassero per disciplina le liste delle minoranze riformiste. Se questo programma organizzativo fosse da noi accettato, si arriverebbe di fatto all'assorbimento del nostro partito da parte del partito riformista e nostra sola attività rimarrebbe l'attività parlamentare.

 

Il compito delle "cellule"

D'altronde come possiamo noi lottare contro l'applicazione e l'organizzazione di un tale programma senza determinare una scissione che noi assolutamente non vogliamo determinare? Per ottenere ciò non c'è altra via d'uscita che l'organizzazione delle cellule e il loro sviluppo nello stesso senso in cui esse si svilupparono in Russia prima della guerra. Come frazione sindacale, i riformisti ci impediscono, mettendoci alla gola la pistola della disciplina, di centralizzare le masse rivoluzionarie sia per la lotta sindacale che per la lotta politica.

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