CLASSICI DEL MOVIMENTO COMUNISTA

Indice degli scritti di A. Gramsci


Riformismo e lotta di classe

(l'UnitĂ , 16 marzo 1926, anno 3, n. 64, articolo non firmato)

 

A Roma è uscito il primo numero di Giustizia, organo del "Partito socialista dei lavoratori italiani". Turati, portabandiera del riformismo italiano, cosi presenta il nuovo "partito":

"Il "Partito socialista unitario" fu sciolto e non si ricostituisce. Intendiamo dire che non intende rifarsi sulle stesse basi, con le medesime formule, con le identiche persone dentro e alla testa. Troppe cose sono mutate e mutano sotto i nostri occhi, troppe altre muteranno, e presto, perché ogni vecchia falsariga non sia d'impaccio".

Ma cercate i mutamenti annunziati da Turati e non trovate che "vecchie falserighe". Decisamente i capi riformisti sono fatti per non imparare nulla dalla lezione dei fatti. Si dicono contro i "dogmi" ed eccoli restare attaccati al "dogma" della democrazia pura, mentre lo stesso partito socialista unitario ha fatto l'esperienza di come la borghesia intende la "democrazia". Il rinnovamento dei capi riformisti è... in questa ripetizione di vecchie formule, che hanno portato alla disfatta della classe operaia in Italia e negli altri paesi. Veramente di nuovo c'è qualche cosa... c'è la sfiducia di Turati "nel numero". Turati convertito al sindacalismo o al fascismo? Nulla di tutto questo. Turati afferma di avere "imparato a fare pochissima fidanza sul numero". "Il numero - egli scrive - è traditore. L'aritmetica in politica è veramente un'opinione". Voi direste, da ciò, che Turati è divenuto dello stesso parere di Mussolini in materia di consensi, giacché Mussolini giudica "l'aritmetica una opinione" in politica ed è per le élites, per le minoranze scelte. Ma Turati non è ancora "anarchico", né "sindacalista", né "fascista"; pur non avendo più "fidanza nel numero", rimane semplicemente un "socialista democratico". Questa logica, anzi questa "dialettica" è perfettamente turatiana... riformista. La democrazia pura è la politica fondata sul numero; Turati non ha più fidanza nel numero... ma continua ad essere un democratico. Che cosa c'è di vero in queste incongruenze letterarie del capo del riformismo italiano? Di vero c'è questo: che il riformismo disprezza le masse lavoratrici, le ritiene materia bruta, capaci di farsi soltanto dominare: ieri dai capi social-traditori, oggi dai fascisti. Non la classe operaia rovescerà il fascismo, ma la brillante, la luminosa... idea di Filippo Turati. Non diversamente parlavano i capi piccolo-borghesi della rivoluzione francese che attribuivano alla "volubilità" del popolo la causa dei loro errori e delle loro disfatte. Il povero Turati, se ha però imparato a fare "pochissima fidanza nel numero", non ci dice come potrà realizzare la sua democrazia senza numero. Siamo evidentemente nel campo misterioso della "fatalità", del "divenire inevitabile" e d'altri simili vecchi luoghi comuni, che attestano il rinnovarsi del riformismo italiano!

Che cosa ha insegnato a Turati ad aver" "scarsa fidanza nel numero"? Non certo la "volubilitĂ " delle masse operaie. Il proletariato è rimasto fermo al suo posto. Lo sanno bene gli avversari. Ma i capi riformisti si sono da molto tempo staccati dalle masse lavoratrici, da molto tempo essi non vivono che la vita dei "salotti" e delle redazioni dei giornali. Essi non vedono che la viltĂ  di quei piccoli borghesi che nel periodo "di Matteotti" si erano avvicinati al riformismo ed ora tornano al fascismo; essi non vedono che gli "amici" i quali devono essere tenuti per la giacca, perchĂ© non vadano a finire, come T. Bruno ed altri, nelle braccia del governo fascista. Dove sono "i molti deputati ed organizzatori riformisti, sempre pronti a dei compromessi con il fascismo", come lo stesso Salvemini si esprime, parlando dei compagni di Matteotti nella rivista francese l'Europe del 15 gennaio 1926? Ă