CLASSICI DEL MOVIMENTO COMUNISTA

Indice degli scritti di A. Gramsci


Il Congresso di Lione del Partito comunista d'Italia (20-26 gennaio 1926)

A. Gramsci, Tesi sindacali, pp. 102-114

 

V. Tesi sindacali

 

1. Nella storia del movimento operaio italiano il momento attuale, che è caratterizzato dalla introduzione della legislazione fascista sui Sindacati, ha una importanza decisiva. La introduzione della legislazione fascista sui Sindacati dà una sanzione legale alla soppressione di tutte le istituzioni create dal proletariato durante quaranta anni per organizzarsi come classe e organizzare la propria lotta contro il regime capitalistico. Una fase di questa lotta trova così la sua conclusione e dalle vicende di essa si ricavano indicazioni decisive sui compiti che spettano nel campo sindacale alla avanguardia rivoluzionaria della classe operaia.

 

I. Partito e sindacati nel movimento operaio italiano

 

2. La sconfitta che è toccata ai lavoratori italiani nel periodo che ora si chiude è legata a una serie di gravissimi errori di principio e pratici commessi nel campo sindacale dagli esponenti delle tendenze che ebbero il sopravvento nella organizzazione operaia.

L'errore fondamentale fu di natura politica e consistette nel disconoscere la funzione che spetta nella lotta contro la società borghese alla classe operaia e, in seno alla classe operaia, al proletariato della grande industria e al Partito politico che lo rappresenta. Il proletariato della grande industria è storicamente la forza che deve dirigere la lotta di tutti i lavoratori contro il capitale. La struttura della organizzazione sindacale e i rapporti tra i Sindacati e il Partito della classe operaia devono essere tali da assicurare che questa direzione si eserciti in modo effettivo, affinché la organizzazione delle grandi masse sotto la spinta dell'interesse immediato si traduca in una progressiva mobilitazione di esse sul terreno politico e affinché questa mobilitazione valga a impedire e spezzare ogni tentativo di riscossa reazionaria del capitale, e consenta la conquista del potere da parte dei lavoratori e la fondazione di uno Stato operaio.

Le tendenze che prevalsero nella direzione del movimento operaio in Italia si uniformarono sistematicamente e sempre a concezioni radicalmente opposte. Il problema di difendere gli interessi della grande massa della popolazione lavoratrice e di assicurarle libertĂ  di sviluppo politico venne da esse considerato come il problema di introdurre una riforma democratica nell'apparato e nel modo di funzionare dello Stato borghese. Forza efficiente per determinare l'avvento di una democrazia fu considerata la piccola borghesia, unitamente alla frazione piĂą radicale della borghesia stessa. La organizzazione dei lavoratori fu quindi promossa allo scopo di creare una massa da manovrare nella lotta per una democrazia borghese e formale. Essa doveva mantenersi sul terreno delle semplici rivendicazioni corporative, e, nel campo politico, doveva allearsi alla frazione di sinistra della borghesia, oppure rimanere passiva nella affermazione puramente verbale di un intransigenza dottrinaria.

3. Logicamente, da queste premesse politiche, i riformisti concludevano per la creazione di un grande Partito del lavoro nel quale le forze e il programma politico del proletariato rivoluzionario sarebbero stati soffocati dagli elementi politicamente piĂą arretrati e il proletariato sarebbe stato posto al seguito della piccola borghesia radicale. Non essendo riusciti formalmente a realizzare questo punto programmatico, i riformisti si adoprarono per ottenere gli stessi risultati facendo della organizzazione sindacale un grande partito riformista il quale impediva e sabotava ogni preparazione rivoluzionaria del Partito e ogni mobilitazione e direzione delle masse da parte di esso. Questo male rapporto di subordinazione del Partito ai Sindacati - espressione e segno della sottomissione degli operai della grande industria e di tutta la classe lavoratrice alla influenza di classi controrivoluzionarie - fu mascherato da una situazione "legale" di eguaglianza tra la organizzazione politica e la organizzazione sindacale e di indipendenza di questa da quella. Questa situazione fu codificata per la prima volta al Congresso di Firenze del P.S.I. del 1907, come soluzione di compromesso per mantenere la unitĂ  del Partito socialista di fronte alle minacce di costituzione di un "Partito del Lavoro". Il finto "rivoluzionarismo" dei socialisti italiani abdicava cos!, di fronte alla burocrazia sindacale riformista, alla funzione di guidare i movimenti reali delle masse dei lavoratori e indicava la via dalla quale i massimalisti non uscirono mai piĂą e sulla quale essi si trovano tuttora.

Tutto il marasma del movimento rivoluzionario italiano si spiega con questa configurazione dei rapporti tra Sindacati e Partito. Mentre la fraseologia rivoluzionaria del Partito serviva come mezzo di reclutamento delle masse ai Sindacati, i riformisti iscritti al Partito e dirigenti i Sindacati deliberavano all'infuori del Partito e contro la volontà di esso sull'indirizzo da imprimere ai movimenti di massa. L'episodio più clamoroso verificatosi prima della guerra fu quello del 1914: la C.G.d.L. fece cessare lo sciopero generale quando per la deliberazione del Sindacato ferrovieri di parteciparvi esso stava per assumere un carattere più radicale. Nemmeno questo episodio servi a far porre dal Partito nei suoi termini reali il problema dei suoi rapporti con i Sindacati e durante la guerra il Partito accettò di fatto che i Sindacati partecipassero ai Comitati di mobilitazione industriale, cioè collaborassero nella forma più aperta e più organica alla politica di guerra. In seguito, nel 1918, fu stipulato il patto di alleanza con cui si riconosceva agli iscritti al Partito dirigenti della Confederazione una posizione di eguaglianza rispetto ai membri della Direzione del Partito e si dava loro la possibilità, - da cui fu determinato l'andamento di tutto il movimento operaio nel dopoguerra, - di manovrare contro il Partito, di ricattarlo in ogni momento culminante, e di condurre una politica di blocco con la democrazia borghese e di opposizione alla soluzione rivoluzionaria dei problemi della vita politica italiana.

4. In questa situazione l'avanguardia proletaria e socialista rappresentata dagli operai della grande industria, anziché guidare la massa arretrata, era tenuta continuamente in iscacco da essa. Le grandi Camere del Lavoro in cui gli operai della grande industria avevano il sopravvento e sulle quali era difficile alla burocrazia sindacale di spadroneggiare erano battute sistematicamente sul terreno democratico dalla massa delle piccole fabbriche e dalle piccole Camere del Lavoro, nonché dagli operai della campagna controllati dalla Federterra. Contro questa "reazionaria" disposizione di forze gli operai reagirono spontaneamente sviluppando le organizzazioni di fabbrica.

Lo sviluppo delle Commissioni interne prima e poi dei Consigli di fabbrica esprime il tentativo degli operai della grande industria, - rappresentanti piĂą caratteristici della volontĂ  proletaria di attuare il socialismo, - di formare una organizzazione puramente proletaria per mettersi all'avanguardia delle grandi masse e dirigerle in una lotta a fondo contro il capitalismo. Il primo contrasto tra organizzazioni di fabbrica e Sindacati ebbe luogo durante la guerra, proponendosi gli operai di continuare la lotta di classe nelle fabbriche nonostante l'adesione della burocrazia riformista ai Comitati di mobilitazione. Il contrasto piĂą profondo si ebbe, nel dopo guerra, quando le organizzazioni di fabbrica al programma riformista di fiancheggiare la borghesia democratica per l'avvento di un governo di sinistra opposero il programma della lotta rivoluzionaria per il controllo.

5. Scatenatasi la reazione e iniziatasi col fallimento della occupazione delle fabbriche la fase discendente del movimento operaio, i riformisti dovettero tener conto del fatto che il fascismo, iniziando la distruzione delle organizzazioni di classe dalla periferia, dalle campagne, e non toccando fino all'ultimo le grandi Camere del Lavoro, avrebbe provocato la prevalenza nella Confederazione degli operai della grande industria, influenzati dai comunisti. L'offensiva contro gli operai comunisti divenne quindi una necessità. Essa fu preparata con le modifiche statutarie stabilite nel 1921 ai Congresso di Livorno, le quali estesero fino all'arbitrio il potere della burocrazia sindacale e le fornirono i mezzi per isolare la lotta degli operai contro il fascismo e cercare di ottenere la liquidazione del Partito Comunista attraverso le successive sconfitte locali dell'avanguardia proletaria lasciata volta per volta a lottare sola contro tutta la reazione. Momento culminante di questa fase fu lo sciopero legalitario dell'agosto 1922, concepito per determinare l'avvento del governo di sinistra e risoltosi in un prologo all'avvento al potere del fascismo. Questo sciopero dette la prima dimostrazione che la tattica di conciliazione e collaborazione è condannata a fallire, a ottenere lo scopo opposto a quello che la tendenza riformista si proponeva, a spianare il potere alla reazione anziché a sbarrarle la via. L'avere perseverato in essa anche dopo la marcia su Roma, e soprattutto nel periodo di forte crisi politica aperto dal delitto Matteotti, ha impedito alla organizzazione di massa del proletariato di avere durante questa crisi una funzione decisiva, ma non ha impedito alla reazione di liquidare nel nostro paese ogni traccia di democrazia, assorbendo persino in massa una parte di quei ceti intermedi che erano considerati come i tipici rappresentanti della democrazia borghese.

6. Questa esperienza del movimento operaio italiano dimostra come sia fondamentale che il Partito proletario definisca con esattezza la importanza del suo lavoro sindacale, e lĂ  sua posizione di principio nella questione dei rapporti tra il Partito e i Sindacati.

Il Partito comunista afferma che la sua funzione di guida della classe operaia non si può attuare se esso non riesce a dirigere le grandi masse nei loro movimenti reali, i quali partono dalla difesa dell'interesse economico immediato e dalla rivendicazione della libertĂ  della lotta di classe e si svolgono in prevalenza sul terreno sindacale. Il Partito comunista pone l'attivitĂ  nel seno dei Sindacati in prima linea tra le diverse specie della sua attivitĂ  e si propone di guidare di fatto i Sindacati attraverso la influenza acquistata nell'interno di essi dai comunisti organizzati in frazione. La iscrizione ai Sindacati e la esplicazione di una continua attivitĂ  in seno ad essi sono, quindi, per i comunisti un obbligo essenziale. L'inadempimento di questo obbligo priva il Partito della sua efficienza politica e gli impedisce di adempiere la sua funzione rivoluzionaria. Correlativamente non si può ammettere che gli iscritti al Partito conducano nei Sindacati, - qualunque sia la carica che vi ricoprono - una politica diversa da quella del Partito. La organizzazione di una rete di frazioni sindacali comuniste deve consentire al Partito di disciplinare la sua lotta per avere nei Sindacati una influenza decisiva, per conquistare la direzione di essi, e per conquistare quindi la direzione della massa operaia e trascinarla dietro a sĂ© nei decisivi combattimenti contro la reazione e per il potere.

 

II. La classe operaia e i sindacati in regime fascista

 

7. Il programma sindacale del fascismo, quale risulta dagli ultimi atti compiuti in questo campo e soprattutto dalla nuova legge sui Sindacati, deve essere spogliato di tutta la fraseologia pseudosindacalista con la quale ci si sforza di nascondere la sua vera natura. Esso è la espressione più rigorosa e conseguente del proposito delle classi dominanti di impedire al proletariato di organizzarsi come classe e di raccogliere attorno a sé e guidare le grandi masse dei lavoratori alla lotta contro il capitale. Esso è parte integrante dei provvedimenti che tendono a perseguire tutte quelle forme di attività attraverso le quali si realizzano una organizzazione e una mobilitazione anche parziale delle masse (istituzione del Podestà, legge sulle Associazioni, nuova legge elettorale politica, scioglimento di organizzazioni operaie, ecc.). Esso deve servire a dare una base stabile e sicura alla dittatura di una oligarchia industriale-agraria sulla maggioranza della popolazione.

Vi sono però ragioni particolari, di carattere politico ed economico, per cui il fascismo doveva giungere, come giunge ora, alla soppressione completa del sindacalismo indipendente e dovrà in avvenire considerare come suo compito principale la lotta contro il movimento operaio.

8. Dal punto di vista politico, occorre tenere presenti quali sono i fattori di una situazione rivoluzionaria in Italia e l'importanza che tra di essi ha sempre avuto il grado di organizzazione della classe operaia e soprattutto del proletariato industriale. Quando il proletariato della grande industria è fortemente organizzato e fa sentire il suo peso nella vita del paese, i contadini tendono a subire l'influenza di esso, sottraendosi a quella degli agrari e della piccola borghesia. In questo caso anche solo un governo di sinistra, cioè un governo che sia costretto a realizzare una certa democrazia formale, mette in movimento i contadini più poveri che vogliono la terra, determinando uno spostamento di forze che tocca tutto il regime borghese. Questo meccanismo politico ha funzionato specialmente, nel dopoguerra, quando irruppero nella vita politica vaste masse contadine, sia pure organizzate in modo informe e primitivo (Partito popolare, Combattenti, autonomisti, ecc.). La reazione fascista ha compreso che per rigettare nel torpore e nella passività queste masse occorreva distruggere le grandi organizzazioni operaie. Cosi oggi e nel prossimo avvenire la questione del risorgere di un vasto movimento sindacale è strettamente legata alla situazione generale politica, cioè al collegamento del proletariato con i contadini. Come i contadini non potranno fare gran cosa senza che esista un largo movimento operaio, così gli operai non potranno riorganizzarsi in grandi masse senza appoggiarsi a un certo movimento dei contadini. La questione dei rapporti tra le due classi è diventata. questione centrale ed essenziale. L'operaio che lavora tra. i contadini per risvegliarli e organizzarli in realtà lavora anche e specialmente per riorganizzare e mettere in movimento la sua classe, e il problema sindacale diventa problema centrale della preparazione politica della rivoluzione.

9. Dal punto di vista economico, occorre fissare quale è la situazione attuale italiana. Nonostante gli sforzi del fascismo per raggiungere una stabilizzazione, la situazione economica italiana continua a essere caratterizzata da una estrema instabilità. Instabile è l'equilibrio del bilancio perché l'incremento delle entrate è assorbito da un corrispondente aumento di spese e perché la sistemazione dei debiti di guerra, compiuta fino ad ora solo per un terzo di quanto l'Italia deve pagare all'estero, farà gravare sul bilancio tali pesi per cui, nonostante l'accrescimento dell'onere fiscale, il pareggio contabile potrà essere mantenuto solo con artifici. Instabile è pure la valuta, che ha subito le conseguente dell'inflazione di un miliardo verificatasi negli ultimi tre anni e si mantiene assai lontana dalle quotazioni precedenti la marcia su Roma. Fortemente passiva è la bilancia commerciale, nonostante il lieve miglioramento provocato nell'ultimo semestre dal buon raccolto granaripassiva è la bilancia commerciale, nonostante il lieve miglioramento provocato nell'ultimo semestre dal buon raccolto granari